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Lettera ad un maestro di scuola

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Caro maestro,
che buffa la vita e che strani i suoi ritorni. Eppure un tempo spesso non stavamo neppure ad ascoltare le sue lezioni e sovente i suoi sermoni ci annoiavano profondamente e sembrava cadessero su un terreno poco fertile per attecchire.
Ma quante volte, invece, quei sermoni li ho incrociati nei miei momenti di difficoltà con mio figlio, con i miei colleghi di lavoro o in altre occasioni della vita?
Tante volte davvero! E tutte le volte l'ho rivista, come allora, con quei pochi capelli pettinati con la divisa in modo da coprire l'incipiente calvizie, passeggiare avanti ed indietro nell'aula e soffermarsi tra i banchi con quel suo sorriso scanzonato e buono, con quel suo viso eternamente bambino, con quel suo brontolare che si limitava a qualche battuta allegra che suscitava l'ilarità di tutta la classe e che risvegliava l'attenzione sulle sue lezioni.
Penso che sarebbe felice oggi se potesse leggere queste righe. Penso che gioirebbe se sapesse che quel suo motto "potea non volle or che vorrea non pote" anch'io l'ho ripetuto più volte a mio figlio ed ancora oggi è presente nel mio cuore e, forse, un domani non lontano lo ripeterò ancora ai miei nipotini che crescono.
Quel motto è servito anche a me, pur se con qualche difficoltà, ma forse anche con molta testardaggine, sono riuscito ad onorare gli impegni scolastici fino in fondo e far felice mia madre.
"Potea non volle" più volte ripetevo spesso a me stesso e quasi a vincere una sfida con un avversario immaginario in tutti quei momenti che le incombenze del lavoro e della famiglia mi lasciavano margini insufficienti per completare gli studi per lungo tempo interrotti; ma tra me aggiungevo: "anche se non posso devo farcela lo stesso" ed andavo avanti per la mia strada rinunciando ad uno svago e buttandomi a capo fitto nei miei studi fino a notte inoltrata, addormentandomi più d'una volta stanco sui libri.
Tanti anni le ho comunicato che avevo raggiunto il mio obiettivo. Mi sembrava giusto farglielo sapere visto che, più d'una volta, quando l'avevo incontrata in quelle rare volte che ero ritornato nella mia città, non perdeva occasione di rilanciarmi quella frase che ormai era diventata martellante nel mio cervello. "Potea non volle".....
E quella sera anch'io richiamai quella sua frase e gliela ripetei ricostruita a mio uso e consumo: "Potea non volle or che vorrea pote"; e lei rise divertito.
Ma si commosse anche per la mia telefonata che quella sera proprio non si aspettava. Era la vigilia di un natale che non ricordo più e fu l'ultima volta che la risentii.
Ma le sue parole sono ancora qui nella mia mente e mi distruggono il cuore:" Il ricordo di un allievo verso il proprio maestro è un dono tra i più graditi che un vecchio insegnante possa ricevere. Le medaglie scolastiche alla carriera sono piccola cosa. Rappresentano un avvenimento burocratico che si consuma con una fredda cerimonia periodica. Ma il ricordo di un allievo è la ricompensa più grande e gratifica più di cento medaglie in quanto rinsalda la convinzione interiore di aver vissuto la propria vita con dedizione ed impegno per educare e formare tante generazioni di giovani che oggi ti ripagano con una semplice carezza che per me rappresenta il dono più ambito che un vecchio maestro possa ricevere". 

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